Quando il diabete dà alla testa

Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di studi scientifici ha documentato una stretta associazione tra alterazioni del metabolismo glucidico e disturbi cognitivi.

Una prima osservazione al riguardo risale addirittura a quasi cent’anni fa: già in uno studio del 1922 fu osservato che soggetti con diabete mostravano prestazioni cognitive ai test di memoria e attenzione inferiori del 15-20% rispetto ai soggetti di controllo non diabetici. Da allora, numerosi altri studi clinici hanno confermato tali osservazioni, rafforzando sempre più la relazione tra diabete e demenza.

Tutte le persone, invecchiando, perdono parte della loro capacità cognitiva, come la “prontezza di memoria”, la flessibilità – intesa come capacità di adeguarsi al cambiamento di un contesto – e possono avere qualche difficoltà nell’orientamento temporale e spaziale. Può trattarsi del fisiologico invecchiamento o di una forma chiamata deterioramento cognitivo lieve, che comunque permette di mantenere l’autosufficienza. Solo in certi casi questa forma evolve verso una difficoltà più seria, definita “demenza”.

La demenza può avere un’origine vascolare, oppure può essere determinata da una degenerazione del tessuto cerebrale (il noto Alzheimer), che rappresenta di gran lunga la forma più comune di demenza (circa il 70% dei casi). Il diabete in particolare sembra accelerare la comparsa di deterioramento cognitivo lieve e sembra a oggi costituire un importante fattore di rischio per lo sviluppo di demenza vascolare; secondo alcune più recenti evidenze, la malattia diabetica costituirebbe inoltre un fattore di rischio anche per la malattia di Alzheimer.

In questo modo l’elenco delle complicanze a lungo termine della malattia diabetica si allunga. Dopo diversi anni dalla diagnosi di diabete, in particolare in caso di scarso controllo della malattia, più organi iniziano a mostrare segni e sintomi di sofferenza diabete-correlata e tra questi anche il cervello.

Il diabete sembra accelerare la comparsa di deterioramento cognitivo lieve e costituire un importante fattore di rischio per lo sviluppo di demenza vascolare

Iperglicemia, fluttuazioni glicemiche e ipoglicemia: fattori di rischio

L’iperglicemia cronica è stata di per sé associata alla riduzione delle funzioni cognitive sia attraverso un danno diretto alle cellule nervose (neuroni), per una sorta di “tossicità” che l’iperglicemia determina a livello cellulare, sia attraverso un meccanismo di danno neuronale indiretto, determinato da micro e macro lesioni vascolari. Del resto è noto come il diabete possa portare alla sofferenza delle arterie sia di piccolo sia di maggiore calibro; l’occlusione di arterie e capillari a livello cerebrale può avere esiti che possono essere macroscopici e drammatici (l’ictus) oppure non facilmente avvertibili. Multipli, piccoli e inavvertiti danni cerebrali sembrano essere i responsabili della cosiddetta demenza vascolare.

Come per le altre complicanze del diabete, avere un buon controllo glicemico, oltre che degli altri fattori di rischio cardiovascolare (ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, fumo, obesità…) riduce la comparsa e la progressione della demenza.

L’emoglobina glicata è un parametro che si può valutare da un semplice prelievo di sangue ed è in grado di fornire informazioni sul controllo glicemico a lungo termine, in quanto esprime i valori medi delle glicemie dei tre mesi precedenti il prelievo. Se elevata, indica uno scarso controllo della malattia per glicemie costantemente superiori alla norma.

In realtà, questo non è l’unico parametro da considerare; una persona potrebbe avere buoni valori di emoglobina glicata anche in caso di alternanza di ipo e iperglicemie e conseguenti forti escursioni glicemiche, che si sono dimostrate altrettanto dannose: è stato osservato che un’alta variabilità glicemica giornaliera si correla alla comparsa di deficit cognitivi. Le fluttuazioni delle concentrazioni plasmatiche di glucosio causano infatti un’aumentata formazione di specie reattive dell’ossigeno, responsabili di danni vascolari.

Oltre all’influenza negativa delle fluttuazioni glicemiche, la stessa ipoglicemia ha effetti deleteri sul corretto funzionamento cerebrale. Le funzioni cerebrali sono infatti completamente dipendenti dal glucosio circolante, in quanto i neuroni utilizzano glucosio come unica fonte di energia. In caso di riduzione dei valori glicemici al di sotto di un determinato valore, il cervello inizia a non essere in grado di svolgere le proprie funzioni. Una severa e prolungata ipoglicemia, se non corretta, può determinare deficit cerebrali irreversibili, così come è documentato che ripetuti attacchi ipoglicemici lievi possano causare deficit cognitivi permanenti.

Per tenere “la testa a posto” occorre quindi non solo avere un valore di emoglobina glicata entro il range raccomandato dalle linee guida, ma anche ottimizzare il compenso glicemico in termini di regolarizzazione costante della glicemia con il minore numero possibile di sbalzi di glicemia.

Che cosa fare per tenere “la testa a posto” anche in caso di diabete

  • Mantenere dei buoni valori di emoglobina glicata
  • Ridurre al minimo le oscillazioni glicemiche giornaliere
  • Controllare gli altri fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, ipercolesterolemia, fumo, obesità)
  • Mantenere una vita attiva; anche la sedentarietà è stata associata a deficit cognitivi

Quale rapporto tra diabete e Alzheimer?

Il legame tra queste due malattie, entrambe molto frequenti nella popolazione con più di 65 anni, sembra essere l’insulino-resistenza, tipica del diabete tipo 2. L’insulina sembra giocare un ruolo fondamentale anche a livello cerebrale; anche in questo tessuto sono infatti normalmente rappresentati numerosi recettori per l’insulina. Caratteristica della malattia di Alzheimer è la presenza a livello cerebrale di placche di amiloide, una sorta di “colla” che sostituisce i neuroni e ostacola il funzionamento di intere aree del cervello. Esiste un enzima, l’Insulin Degrading Enzyme (IDE), deputato alla degradazione sia dell’insulina sia della proteina beta amiloide. In caso di diabete, l’insulino-resistenza sembra “sottrarre” l’enzima alla beta amiloide che non riesce pertanto a degradarsi e si accumula nei neuroni generando le placche tipiche della demenza di Alzheimer.

Informazioni dalla diagnostica

Alla risonanza magnetica cerebrale è stata notata una riduzione di volume di alcune aree cerebrali (amigdala e ippocampo) nei soggetti affetti da diabete mellito rispetto al volume presentato da persone non diabetiche; esiste inoltre una correlazione inversa tra riduzione volumetrica di tali aree cerebrali ed elevati livelli di emoglobina glicata.