La “malattia del sonno improvviso” è spesso scambiata per epilessia. Per questo motivo, viene individuata con un certo ritardo, il che aggrava la situazione del soggetto che ne soffre
In Italia, per la corretta diagnosi della cosiddetta “malattia del sonno improvviso”, è stato avviato il progetto Red Flag della Narcolessia. L’indagine Red Flag, ha visto impegnati oltre una ventina di Centri del Sonno in tutto il territorio italiano, regione per regione. Il progetto, parte da due punti chiave da verificare nella popolazione italiana: individuazione di alterazioni del sonno e di turbe metaboliche.
La metà dei casi di narcolessia insorge in età pediatrico-adolescenziale, dove induce problemi di apprendimento scolastico e adattamento sociale (come essere considerato dedito all’abuso di droghe). Gli adulti vanno incontro a rischi anche gravi, come incidenti stradali e domestici, nonché problemi professionali, per inefficienza sul lavoro, e affettivi, per difficoltà a mantenere relazioni sentimentali stabili. Gli attacchi sono senza segni premonitori e rendono incompatibile il normale svolgimento delle attività quotidiane, in particolare controllare macchinari o guidare.
Sonno e sovrappeso
I soggetti che soffrono di narcolessia, spesso presentano anche sovrappeso. Ciò sia perché il loro metabolismo rallenta, sia per un ritiro dalle normali attività quotidiane per paura delle crisi di sonno che li porta a evitare di uscire in casa. Questo, oltre a contribuire all’aumento ponderale, spesso li fa scambiare, anche dai medici, per persone pigre, con svogliatezza patologica, demotivate o depresse.
AIMS e AIN insieme
L’indagine Red Flag volta a dare un supporto a pazienti e medici, generalisti e pediatri, vede la partecipazione di AIN (Associazione Italiana narcolettici e iperinsonni). A capo dell’iniziativa è Giuseppe Plazzi dell’Università di Bologna, Presidente AIMS (Associazione italiana di medicina del sonno) che dirige il Centro del sonno di Bologna, uno dei primi a puntare sulla diagnosi nei pazienti più piccoli, con l’intento di intercettare la malattia già nelle sue fasi iniziali. Il bambino narcolettico, infatti, è più caratteristico dell’adulto per il costante abbassamento delle palpebre e per la povertà della mimica facciale che gli conferiscono un aspetto da zombie.
24mila casi sommersi
Se la narcolessia inizia tipicamente prima della seconda decade di vita, con picchi a 15 e 25 anni, vanno aumentando i casi fra i maggiorenni. Prosegue nella vita adulta, senza differenze fra uomini e donne con una prevalenza di 1 caso ogni 2mila soggetti in USA e 4 ogni 10mila in Europa. In Italia, hanno ricevuto questa diagnosi e sono in trattamento circa un migliaio di persone. Ciò che più preoccupa AIMS è il dato sommerso, ovvero i circa 24mila italiani colpiti da narcolessia che però non sanno di averla e sono ignari delle pesanti ricadute sulla loro vita quotidiana.
Questa mole di pazienti sommersi deriva anche dal fatto che, a distanza di oltre un secolo dalla sua prima definizione clinica fatta da Jean Baptiste Edouard Gèlineau nel 1880 e da Karl Friedrich Otto Westphal nel 1877, viene ancora riconosciuta dai medici con un ritardo compreso fra 8 e 14 anni dal suo esordio. Infatti, viene spesso scambiata per epilessia oppure per un colpo apoplettico, quando si complica con improvvise cadute, complicanza che interessa tre quarti dei soggetti ed è nota agli specialisti del sonno come cataplessia. Si tratta della subitanea perdita di tono muscolare, fino alla caduta a terra, in genere scatenata da un’emozione: una crisi di pianto, una risata o il sesso.
Troppe diagnosi sbagliate
Un’altra comune misdiagnosi è anche quella con OSA (obstructive sleep apnea): i continui microrisvegli notturni da ipossia che determinano sonnolenza diurna, uno dei sintomi cardine anche della narcolessia, con conseguenti iter di valutazione differenziale che ritardano la corretta diagnosi. Spesso sottodiagnosticata, in passato, questa malattia è finita fra le patologie rare, ma il riconoscimento delle sue caratteristiche cardinali da parte del medico può farla riemergere dalla situazione di misdiagnosi in cui è rimasta troppo a lungo:
- immediata comparsa di sonno REM senza le fasi morfeiche che lo precedono, con diretto addormentamento profondo nella fase dei sogni, andamento che può essere evidenziato nei Centri del Sonno tramite esami specifici come l’MSLT (multiple sleep latency test);
- eccessiva sonnolenza diurna con episodi di addormentamento, ad esempio davanti al computer o alla guida dell’auto;
- cedimenti muscolari improvvisi, spesso scatenati da emozioni sia positive sia negative che, se durano più minuti, portano a cataplessia;
- paralisi morfeica diurna per intrusione di sonno REM nella veglia (in un quarto circa dei casi), con blocco motorio che talora spaventa il paziente.
All’intrusione diurna di sonno REM si attribuiscono anche le cosiddette “allucinazioni ipnagogiche”, che possono essere scambiate per sintomi psichiatrici perché il paziente dice di trovarsi improvvisamente all’interno di un sogno vissuto in maniera vivida e a volte angosciosa.
Nuovi dati
Il rinnovato interesse per questa malattia deriva dal fatto che negli ultimi anni stanno emergendo nuovi dati sulla sua origine e il suo trattamento. Inoltre, alcuni ricercatori svizzeri diretti da Federica Sallusto hanno scoperto che alla sua origine ci sarebbe un fenomeno di autoimmunità, dove alcune cellule che ci difendono dalle infezioni (i linfociti T) iniziano ad attaccare e distruggere l’ipocretina, neurotrasmettitore chiave nella regolazione dei ritmi sonno-veglia.
Farmaci mirati
Nel ’98 è stato immesso sul mercato il modafinil che, non essendo un eccitante o uno stimolante anfetamino-simile, prometteva grande tollerabilità, salvo poi indurre cefalea e insonnia paradossa. La vera svolta, però, è arrivata 2 anni fa quando l’ente di controllo dei farmaci per l’Europa EMA (European Medicines Agency), ha approvato il pitolisant che, in uno studio pubblicato sulla rivista Lancet Neurology, ha dimostrato una riduzione delle crisi correlate a narcolessia pari al 75%. Disponibile in 16 Paesi europei, presenta una buona sicurezza d’impiego, tant’è che nel 2018 è stato autorizzato anche per l’Italia da AIFA (Agenzia Italiana per il Farmaco). Pitolisant è il primo a stimolare in maniera selettiva i cosiddetti neuroni istaminergici, che sono importanti per lo stato di veglia, la vigilanza e l’attenzione. Ha indicazione nell’adulto e i ricercatori francesi di Montpellier e della Petiè-Salpetrier di Parigi lo hanno proposto come trattamento di prima linea.
Trattamenti non farmacologici
Per la narcolessia esistono anche trattamenti non farmacologici. Lo indica un recente studio pubblicato dai ricercatori dell’Università del Kansas secondo i quali va controllato, in particolare nei giovani, l’abuso di alcool che notoriamente peggiora la malattia. Un sonnellino pomeridiano di 15-20 minuti, anche 2 o 3 volte al giorno, pare invece efficace, ma non deve superare la mezz’ora, altrimenti l’effetto è opposto.
In sintesi, i principali suggerimenti che il medico può fornire al nucleo familiare dei pazienti narcolettici sono:
- un’adeguata informazione sui sintomi della narcolessia e sulla variabilità delle manifestazioni;
- una buona consapevolezza dell’impatto che la malattia può avere sui rapporti sociali e lavorativi;
- la disponibilità di trattamenti sia farmacologici sia non farmacologici.